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Il Dolore Della Memoria. 6 Aprile 2009 – 20 Maggio 2012

Lug
21

Pezzo indipendente che scrissi per un sito blogger, a quasi un anno di distanza lo rileggo e mi tornano i brividi.

http://www.paid2write.org/altro/il_dolore_della_memoria_aprile_2009_20_maggio_2012_22467.html

 

Correva l’anno 2009, per l’esattezza il 5 Aprile. Era una serata come tante e la gente, stanca per il lavoro, rientrava a casa: cenava, si dedicava alla visione dei programmi serali, normale routine in un paesino alle pendici delle montagne che circondano l’Aquila, a circa sei chilometri dalla ormai tristemente famosaPaganica diventata nota, nelle cronache nere, proprio quell’anno. Era arrivata la primavera, l’aria iniziava a riscaldarsi e i profumi dei boschi arrivavano fino in cima alle montagne, un senso di risveglio generale dal torpore dell’inverno, pervadeva tutti gli abitanti dei piccoli paesini limitrofi alla storica città.

Domenica delle Palme, la città era perlopiù deserta, le case e gli appartamenti studenteschi svuotati dai ragazzi che erano tornati a casa per le vacanze; l’Aquila città degli studenti, piena di vita durante l’anno scolastico, in quei giorni era a dir poco deserta, ma in fin dei conti fu un bene. La notte scorreva tranquilla, come sempre succede in cima alle montagne, lontani dal traffico e dai rumori molesti; scattò la mezzanotte e iniziò il fatidico 6 Aprile 2009, allora c’era anche chi era sveglio, chi era in ferie e si godeva la serata piacevole. Scoccarono le 3.30 e iniziò la distruzione.

Provate a contare… uno… due… tre… contate fino a trenta. Contate immaginando il buio del Black Out, il boato simile a quello di un tir che passa dentro casa, tutto intorno a voi che trema, i suoni delle pietre che si spezzano, delle case che crollano, delle urla o del cuore martellante nel petto che sembra voler scoppiare dalla paura. Contate fino a trenta, non saranno mai abbastanza veloci i secondi. Solo un pensiero aleggiava quella notte tra coloro che subirono il sisma: “Siamo Morti”; ma molti riuscirono a sopravvivere e come fantasmi uscirono dalle loro case, alcune in piedi, altre danneggiate, altre crollate. Chi era ancora vivo e sano correva a cercare amici, parenti, conoscenti; alcuni scavavano con le mani nude tra le macerie, alla ricerca di chi mancava all’appello e le persone si univano nelle piazze, con ancora addosso: i pigiami, una coperta, qualsiasi cosa potessero aver preso mentre fuggivano da casa.

La città era in ginocchio, la maestosa Aquila ridotta a macerie fumanti e polveri sottili; nei paesini attorno alla città la situazione era, se possibile, ancora più disperata. Le comunicazioni tagliate o sature per le chiamate d’emergenza, nessun modo di contattare amici e parenti, le strade invase dalle macerie, le auto danneggiate e gli abitanti di quei piccoli centri urbani, osservavano dall’alto dei loro piccoli mondi, la grande città urlare il suo dolore. Urla e sirene si mescolavano nell’aria arrivando come echi lontani fino in cima alle montagne, gli abitanti dei piccoli borghi non potevano far altro che aiutarsi, stringersi tra loro e osservare atterriti la grandeAquila agonizzante.

6 Aprile 2009, ore 3.30.
Una notte che nessuno di coloro che ha vissuto dimenticherà mai.

Passarono gli anni, ogni anniversario le radio si riempiono della “Canzone per l’Abruzzo”, i tg ricordano, i programmi si lanciano nella memoria, un fenomeno mediatico che si ripete come un circo. Ogni anno ci ricordano un pezzo d’Italia spezzato, memorie che sembrano spegnersi puntualmente a maggio, ma il quinto mese è testimone di un altro disastro, della stessa portata, spesso nascosto nell’ombra.

Bassa Modenese, primavera 2012.
Sono trascorsi tre anni dalla catastrofe in Abruzzo, il terzo anniversario è appena trascorso col solito colpo di coda mediatico che ha visto passare in rassegna: articoli, servizi di repertorio e in diretta, musica, social network. La solidarietà, almeno nelle parole, è sempre presente sulla bocca di tutti.

E venne il 20 Maggio, molti non sanno come sia la vita nella Bassa: un luogo strano, magico, dove la vista può spaziare per decine e decine di chilometri, fino ad accarezzare la cornice dell’appennino. Il cimone è la piccola vetta maestra di quelle pendici e in maggio, spesso, ha ancora sbuffi di neve che ne decorano la cima; i campi, i frutteti e i vigneti, sono un tripudio di verde d’ogni sfumatura, il grano e l’erba medica crescono rigogliosi e già si vedono i filari di granturco germogliare e diventare ogni giorno più sani e forti. I campi incolti sono un fiorire di papaveri e ranuncoli, che aggiungono pennellate di giallo e rosso al verde cirostante. La Bassa: terra di fiumi, campi coltivati,i canali d’irrigazione, zanzare e caldo afoso in estate, nebbie e umidità d’inverno, luogo di piccoli paesi orgogliosi delle loro torri con campane e orologi, ricordo di tempi antichi. La Bassa Modenese o si ama o si odia, per i suoi pregi e i suoi difetti.

La Bassa Modenese venne ferita gravemente il 20 Maggio del 2012 alle ore 4.04, quando un nuovo sisma fece tremare di paura l’Italia e spezzò un piccolo fazzoletto di terra, circa 40 chilometri quadrati, tramutandolo nel teatro di una nuova distruzione. Paura, macerie e morti si ripeterono in un luogo conosciuto per la sua calma e tranquillità.

I mass media si lanciarono sulla nuova provincia ferita, in televisione si videro nuove immagini di morte e distruzione, servizi in diretta, nessuno s’aspettava che di lì a nove giorni la terra avrebbe richiesto un nuovo tributo. Il 29 Maggio la terra tornò a tremare, causando altri danni nelle zone già lesionate dal primo sisma e distruggendone altre che erano scampate fino a quel momento; la terra era spezzata, i campi solcati da enormi voragini e i campanili e le torri, fasti di tempi antichi, distrutti in macerie che lasciavano i cuori dei modenesi smarriti. Molti di coloro che hanno visto i servizi non hanno mai ben capito quanto fu doloroso per i modenesi perdere le torri e i campanili, al pari di cari amici. Per la maggior parte degli Italiani sono solo strutture, ma per gli abitanti della Bassa erano qualcosa di più. Erano e sono la memoria della terra, esistono da prima della bonifica dei campi e delle coltivazioni, i loro grandi orologi segnavano l’inizio e la fine del lavoro, tutti ne beneficiavano in un’epoca dove la tecnologia era pura fantasia; la vita veniva scandita dai loro rintocchi. Una reminescenza e un orgoglio che pervade tutti i modenesi, le torri e i campanili uniti ai loro orologi, sono l’emblema di una popolazione, il suo specchio e come loro la gente fu spezzata.

Si per un po’ Modena è stata nelle prime pagine della cronaca, ma presto, nell’arco di un mese dal secondo sisma, le notizie sono sfumate, rimpicciolite e infine dimenticate. Ogni anno ad Aprile inizia il periodo dei ricordi, si canta l’Abruzzo, ma quando inizia Maggio tutto si spegne.

Modena, piccola città dimenticata.

Io c’ero nel 2009.
Io c’ero nel 2012.
Io ho visto entrambi gli orrori.
E ogni notte devo far i conti coi ricordi: urla, boati, sirene e morti, tornano a farmi visita nei sogni.

Baccarani Micaela