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6 Aprile 2009 – Vita tra le Catastrofi

Apr
30

Quando albeggiano i 35 anni e ti guardi indietro contando non una ma ben 6 catastrofi passate, viste o sfiorate.. qualche domanda una inizia a farsele. Soprattutto se tutto le volte si riesce a uscirne più o mano in piedi a leccarsi le ferite.

Andiamo per gradi.

Era il 2009 quando vivevo all’Aquila, allora convivevo e mi ero trasferita da Modena a quella piccola e medievale città incastonata nell’appenino Abruzzese. Si c’era da combattere con la nostalgia ma in fono quei luoghi mi piacevano e dopo qualche anno iniziavo a sentirli un po’ come la mia nuova casa. Quando si cambia regione e vita servono anni per adattarsi al nuovo ambiente.

Sorvolerò sulla mia vita li, non è di vitale importanza, ma tutto cambio nella notte del 6 Aprile del 2009, mi pare fosse il Week end delle Palme, la città era semi deserta, molti studenti erano partiti insomma un calmo week end prima di pasqua. Ma così non fu. Allego qui quello che scrissi al tempo, quando fresca del terribile terremoto che spezzò centinaia di vite e distrusse la mia, intesa come vita normale, stravolgendola. temo che non riuscirei mai a ritrovare le stesse parole con lo stesso sentimento di allora.

Aquila 5 Aprile 2009 Domenica sera, una giornata come tante, lui rientra a casa verso le 21.30, dopo un pomeriggio con gli amici mangiamo; una bella serata in fondo e il giorno dopo saremmo rimasti a casa, i turni permettevano uno di quei rari lunedì mattina a crogiolarsi nel piumone invece di dover andare al lavoro; in fondo all’Aquila fa ancora freddo e la primavera è gelida. Il martedì sapevo sarebbe arrivato mio padre, da Modena, a trovarmi e i progetti per sistemargli la camera dove ospitarlo, dove portarlo, che monumenti vedere si sprecavano, insomma una domenica come tante, con tante cose da fare, pensare e preparare e il lunedì sarebbe stato all’insegna dell’organizzazione, la spesa, il letto da rifare, la casa da pulire i piatti da lavare.. insomma la normalissima vita quotidiana.. Se c’era tempo un giro dai vicini a fare 4 chiacchiere.

Ecco la mia vita fino a quella fatidica notte. Facciamo tardi, il giorno dopo si stava a letto e non c’era fretta di dormire, sono circa e 3.30 di notte era il 6 Aprile 2009. Mi dico “salvo e spengo il pc” avevo appena letto del terremoto in Emilia, si quella notte ironia volle che ci fosse stata anche una scossa in emilia, ero turbata visto che da noi erano settimane che piccole scosse tormentavano la nostra vita, avevo chiamato mia mamma, per sincerarmi stesse bene, era notte ma volevo esserne sicura, sentita la sua voce mi tranquillizzai… bene, ora di dormire.

La normalità finì pochi attimi dopo.

Tutto iniziò con il boato, mentre nella mia mente si insinuava l’idea d’andare a dormire, eccolo quel suono lontano, come un enorme camion che si avvicina, ma noi stavamo in un paesino in montagna li non ci sono strade dove questi possano passare, il cagnolino e i gatti erano scomparsi e fu l’inizio di tutto. Il boato divenne sempre più forte ed ecco i primi tremori, in principio sembra impossibile come volino i pensieri umani, ma quando sei li in balia della natura che si scatena, questi galoppano come il vento. “Uffa un’altra Scossa” ecco il primo ingenuo pensiero, ma la terra non si ferma ed eccolo il Sisma che ha distrutto l’Aquila che mi investe senza pietà. La casa sembrava contorcersi, alzarsi o camminare era impossibile: I libri cadevano e poco dopo la piccola libreria sopra la scrivania mi colpisce, resto bloccata su quella stessa poltrona dove cinque minuti prima avevo telefonato e dove pensavo d’alzarmi per andare a dormire. Cinque minuti prima tutto era normale ed ora ero in balia della casa che si contorceva, del muro davanti a me che si spezzava con una breccia che mi permetteva di vedere la stanza accanto. Ogni movimento impossibile mentre venivo colpita da libri e pezzi della piccola libreria.

E infine venne il buio, l’ultima visione fu quello che era il mio compagno d’allora, un solo sguardo, il mio terrore riflesso nei suoi occhi e la stessa consapevolezza, poi il buio. Tutto divenne buio e tutto quello che rimase a farci compagnia era il boato, il tremore e la casa che sembrava sul punto di spezzarsi… Un solo pensiero “siamo morti”

Quando quella consapevolezza mi aveva ormai permeata, tutto finì come era iniziato. La terra smise di tremare e la luce rilluminò casa; eravamo ancora vivi. All’esterno non vediamo danni, pochissimi i calcinacci a terra, insomma tanta paura ma sembrava che di veri danni non ce ne fossero, ci sentiamo fortunati, il paese ha retto al terremoto… Quanto ci sbagliavamo. Escono i vicini, escono tutti dalle loro case e ci dirigiamo alla piazza a 50 metri circa da casa, appena svoltiamo l’angolo qualcosa non va, ecco i primi calcinacci e più siamo vicini alla piazza più i danni aumentano. La realtà ci colpisce come uno schiaffo, il paese era spezzato in due, un crinale intatto uno devastato, il lato che dava sull’Aquila ridotto a una maceria e dalla vallata sotto di noi, dal nostro piccolo paese ferito in cima alla montagna, echeggiavano gli urli, i crolli e i suoni della grande città distrutta.

Avanziamo ancora, vediamo finalmente la piazzetta e con lei la chiesa, come nei peggiori film di guerra, sembrava bombardata e le sue macerie sparse ovunque, la fortuna di segue, nessun ferito i nostri compaesani erano tutti vivi, anche quelli rimasti bloccati e liberati dai vicini che a mani nude hanno spostato le macerie seguendo le urla di coloro intrappolati.

L’Aquila è agonizzante, ferita nel profondo da un terremoto che l’ha spezzata. Ci rifugiamo nelle macchine, accendiamo un fuoco in piazza e stiamo tutti vicini, cerchiamo di ripararci dal freddo come possiamo, la paura continua parallela alle scosse che tornano a tormentarci senza lasciarci dormire, anche se scomodi, nelle nostre auto. Siamo ancora fortunati, le nostre macchine sono tra quelle illese, nonostante una fosse proprio vicina alla chiesa distrutta.. non si sa per quale scherzo, nessuna pietra l’ha colpita. Ci attacchiamo ai telefoni a cercare di comunicare col mondo, ma siamo isolati e comunicare coi nostri cari diventa impossibile, non sappiamo come stanno e loro non possono trovarci, alla paura si aggiunge la terribile angoscia dell’attesa. Ore a provare e ritentare coi cellulari, fin quando non si riusciva a prendere la linea; richiamo mia madre in provincia di Modena, mi sentivo così stupida, un’ora prima mi preoccupavo per lei e ora ero io colpita da ciò che non può essere previsto, il terremoto. “Non preoccuparti sto bene” ecco cosa le dico, lei non sapeva ancora nulla ma prima di spiegarle la rassicuravo, non volevo lo sapesse dai telegiornali o altri la chiamassero per dirglielo e trovando le linee intasate vivesse la mia stessa angoscia dell’attesa di qualche notizia dei suoi cari. Ogni telefonata rivivevo il momento del racconto, della paura, del terrore, una pugnalata nel petto accompagnata da quelle scosse che ancora continuavano.

La lunga notte, non credo d’averne mai passate di così infinite.

Molti non dormono, e come si fa il terremoto non ci abbandona, siamo di notte con le luci dei lampioni e aspettiamo l’alba, che arriva gelida e dura, come un calcio nello stomaco, solo ora vediamo i veri danni, non solo la chiesa, ma mezzo paese distrutto; ci attacchiamo alle radio per sapere qualcosa di più… PAGANICA l’epicentro a soli sei km da noi, ancora la fortuna che ci sorride in fondo, interi paesi distrutti e noi così vicini ancora vivi.

La frase più sciocca l’ho detta verso le 7 del mattino. Riesco a chiamare mio padre “Papà… temo non potrai scendere, dobbiamo rinviare” Come se la sua visita avesse importanza in quel momento. Che sciocca. Ma al momento era l’unica cosa che mi venne da dire.

Da qui in poi è storia. I telegiornali ne parlano, parlano dei soccorsi in arrivo, parlano degli aiuti, parlano parlano parlano… Noi silenziosi ci rialziamo come fantasmi dalla polvere, quella non ci abbandona un attimo: la respiriamo, la assaggiamo ed è un sapore che non riusciamo a toglierci di bocca. I primi contatti umani li abbiamo con le pattuglie che salgono e controllano. “Siete fortunati a star tutti bene l’Aquila è spezzata.. dobbiamo occuparci dei dispersi pazientate arriveremo da voi.” Eravamo i fortunati e quindi ultimi della lista, stavamo bene era normale, nessuno se ne lamenta e torniamo ad attendere. Dopo 12 ore sapevamo chi c’era e chi no… noi? Ancora fortunati la famiglia salva. Iniziano ad apparire come funghi i campi d’accoglienza, la macchina umanitaria si era mossa.

Il resto sono pagine da quotidiano o servizi del telegiornale. Centinaia di vite spezzate e un’intera città e i suoi paesi distrutti, ma non c’è lieto fine, almeno non per me. Due mesi dopo lui mi lascia e sono sola in una città spezzata dal terremoto e con la famiglia lontana e prendo la mia decisione. Tornare a MODENA. Era il Giugno del 2009.”

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