La caccia al Cellulare

Mag
6

 

E qui si parla di mesi di caccia.
perchè tra cellulari carini a basso costo ma poco utili con le nuove tecnologie e pieni di difetti.. o cellulari perfetti pieni di pregi ma che costano un salasso venoso. Aggiungi marche sottomarche marchette… si pure quelle a momenti.
La caccia al cellulare diventa veramente dura.

Ti guardi gli sconti le offerte tutto sperando di tirar giù qualcosina.
Soprattutto quando per una volta in vita tua decidi di prenderti un Signor cellulare e non il solito catorcino di rimpiazzo, dove ci si accontenta sempre. ma il problema è sempre lo stesso… Cavoli ma quanto costano?

400/500.. 700 € per un telefono..
modello sght 2345
tutti consecutivi tutti simili tutti con costi diversi a seconda delle mode.
Poi finalmente quando ormai ci si rinuncia e si comincia a guardare il solito telefono di ripiego, visto che quello che usi inizia a darti segnali preoccupanti… L’idea folgorante.

Fece tanto scalpore l’uscita dell’iPhone 5 pochi mesi dopo il 4 e la gente in coda per aver l’ultimo modello di un centimetro più grande. Cosa si son fatti poi del modello 4? Ed ECCOLI LA’! In svendita come usati.
ancora con la loro garanzia, tutti gli accessori, alcuni con la pellicola nuova, vittime della brama all’ultimo modello. E i prezzi che che iniziano a calare.
prima 250… poi 220… poi 200 e infine 180€…
usato di sei mesi con tutti gli accessori scatola inclusa e ancora sotto garanzia. Cavoli se devo spenderne un 100/150 per uno scrauso, posso spenderne 180 per uno esagerato seppur usato… E per una volta in vita mia farmi il tanto agognato mega telefono con tutto… peggio ancora l’iPhone il sogno dei cellulari. Almeno così dicono.

Ci tento.

Seguo le inserzioni, provo con qualche tentativo ma niente… qualcuno mi ha sempre preceduta. Ci ritento e ritento.. oggi mi va grassa un annuncio mi rispondono, hanno già un interessato ma ci va domani, se lo anticipo <.< primo che passa, telefono si compra. Sta a San Felice sul Panaro… non proprio dietro casa MA… a metà strada ci sta la zia! Mamma voleva andarla a trovare spetta bene che unisco le cose… Finisce con giro dalla zia. <metà strada non sprecata> Mamma contenta e io che vado a vedere sto telefono, per decidere se comprarlo oppure no.

Facciamola breve. Il telefono era davvero nuovo, originale, con tutti i pezzi e la sua bella scatola…

Mio <.< Mio mio! Nessun graffio, usato a mala pena e subito sostituito da un iPhone 5 <.< poverino.

Ora devo solo capire come funziona.
Tra internet
Fotocamera integrata
Wi-fi
Navigatore satellitare
Applicazioni assurde
Musica
Radio
Ecc ecc ecc ecc

Solo una domanda sorge spontanea.
Da dove CAVOLO eroga il caffè?

Viaggiare in Italia?

Mag
5

Da una conversazione Skype di alcuni giorni fa.

Ciccio “Allora la verrai ben a visitare Napoli? Ti faccio da cicerone, vedrai è bellissima la città”

Io “Senti Ciccio, ho alle spalle 3 terremoti, 2 uragani, 1 inondazione… e SECONDO TE io metto piede in una città vista vulcano sul mare? Si così mi faccio un’eruzione vulcanica in diretta, pioggia di lapilli che non fa mai male e uno tsunami giusto per gradire un po’ di frescura dopo la calura.”

Ciccio “Mi sa che lo prendo per un no.”

Io “Si chiama sopravvivenza e non sfidare la sfiga.”

Obiettivo: Prendere le catastrofi con Ironia.
Completato!

L’ingiustizia delle Scatolette

Mag
5

E venne il momento di far spesa felina.
Vai al negozio e io solitamente compro sempre la stessa cosa, Avendo Alucard malato di calcoli o gli compro Urinary o gli compro Urinary. La micia è sterilizzata e ci risparmiamo le cistiti con lo stesso prodotto. Nulla da dire, amano il mangime secco quindi non ho il problema di farglielo mangiare… Ma capita che ogni tanto ti dici “Cavoli posso dargli una volta al mese qualcosa di sfizioso!”

L’avessi mai pensato, e tutti i mesi ci casco eh.
Calcoliamo che la Royal Canin, per urinary, fa solo umido al pollo e manzo, cosa che Alucad e Kalì schifano a vista. Quindi mi dico, uno strappino alla regola non può fargli male… salto ovviamente tutta la roba commerciale classica e mi do al settore “BIOLOGICO”

Manzo, straccetti, pollo, agnello, coniglio, trota, fagiano, gamberetti, pesce atlantico, pesce pacifico (C’è differenza tra pesce azzurro di atlantico e pacifico?????) granchio, trota, lago, fiume abissi non abissi, con verdurine senza verdurine, in patè, a bocconi, straccetti, gelatina, senza gelatina, Al vapore, non al vapore, pesce carne carne misto pesce, mare monti.
Dieci minuti e già la bussola mia era andata.
La domanda spontanea… perchè se IO voglio una scatoletta di carne o pesce per me o mi mangio la schifosa Simmental o il terrificante tonno… con giusto le variabili allo sgombro o salmone e finisce li e per il gatto trovo cinquanta variabili di cibo?

MINIMO 50 variabili eh, a contar tutte le variabili offerte dalle varie marche quello è il numero minimo da provare.

Rassegnata all’idea che il mio gatto mangi meglio di noi umani, indecisa su cosa prendere.. ovvio stai per prendere una scatoletta, ma ti fai i patemi “e se preferisse l’altra?” nulla passano 20 minuti di indecisione, poi l’occhio casca su una scatola anonima della HILL’S con la scritta URINARY. Thò la Hill’s s’è messa a far le bustine per mici con problemi urinari.. sarà il solito pollo o manzo ( si pare che le case che producono i mangimi urinary usino solo pollo e manzo). Prendo la bustina e il mondo si illumina “Hill’S Urinary al SALMONE!“. Coro si arpe celesti che mi accompagnano e lascio perdere i trilioni di variabili biologiche e non… In fondo che deve mangiare il mio gatto? URINARY, perchè ammattire dietro cinquanta tipi di biologico come sfizio mensile se ho le bustine apposite? (Disse la ragione.. Ammettiamolo il salmone mi salvava l’esistenza neuronale).

Felice di non dover scegliere tra le mille opzioni e armata finalmente di Umido al pesce adatto al micio torno a casa. Croccantini ok, e prova del nuovo umido… Lo MANGIA! Non che Alucard sia fanatico delle Scatolette ma che ne mangi anche solo mezza bustina al giorno, condividendo con Kalì, andiamo già benissimo.. Insomma meglio del niente assoluto di prima.

 

operazione Umido COMPLETATA.
Finalmente Alucard ha bustine decenti, che non gli fanno male anzi, al gusto di pesce!
Emmenomale che non ho figli.

 

Il Cassetto dei calzini

Mag
4

Alucard1Domenica mattina.
Sonno pazzesco ma tocca alzarsi il bagno chiama e mezza addormentata vado a seguire la natura. Fin li una normalissima domenica se non fosse che al ritorno dal bagno alle 6 del mattino, quando le luci sono soffuse… Noto un mucchio nero vicino all’armadio. Il neurone ancora dorme e dal corridoio non capisco cosa sia. Mi avvicino cauta, lo osservo meglio e accendo la luce.

Si para dinnanzi l’ennesimo colpo gatto.

Non so chi sia stato dei due o se è stata un’azione congiunta di Kalì e Alucard fatto sta che io umana stordita non ho chiuso bene il cassetto dei calzini.. alias un cassetto di un metro per cinquanta <alla faccia del cassetto un cassettone> lasciando che ci fosse una fessura di tre centimetri se era tanto. BENE in quei tre centimetri i felini hanno, uno alla volta, tolto tutto quello che c’era nel cassetto e ammucchiato allegramente i miei calzini per terra.

Ma io dico.
che gusto c’è, mentre dormo, di andar a svuotarmi un cassetto, infilando le zampine in uno spazio veramente ristretto, fino al fondo per sfilare uno alla volta i miei calzini e farci un bel mucchietto. Ma a quale mente criminale può mai piacere un passatempo simile.

Mi volto e osservo i due imputati che sul cuscino accanto al mio mi fissano con faccine da angioletti innocenti. Abbatto qualche santo e butto tutto nel cassetto, lo sistemo poi alle sei del mattino non sto sicuro a riordinarlo. Lo chiudo e stavolta mi sincero che sia non chiuso ma sigillato e torno perplessa sotto le coperte. Non smetterò mai di chiedermi che gusto di provano i gatti in simili passatempi. Ma è dal tempo del rotolo di carta igienica tramutato in stelle filanti, che ho smesso d’aspettarmi una risposta.

Le Serie TV del 2014 – grande attesa

Mag
4

Ok sono serie tv dipendente.
alcune le guardo così di tanto in tanto, altre le aspetto tipo lumaca bavosa contando i giorni che mancano alla loro uscita.

SUPERNATURAL

Ditemi se non è bello sto telefilm.
Pare chiuderà alla decima stagione (siamo alla nona), ma ne è valsa ogni puntata. Saranno i mostri, saranno gli intrighi soprannaturali, sarà che hanno devastato tutto dalla genesi a ogni sorta di credenza.
SBAV
http://www.piratestreaming.net/serietv/supernatural-streaming-serie-tv.html

 

IL TRONO DI SPADE

Nemmeno va presentato.
Il Telefilm più telefilm della storia.
Dove nessun personaggio può dire d’essere fondamentale, anche i migliori schiattano.. Se poi sei imparentato Stark, hai un piede nella fossa assicurato.
Ogni Lunedì… speriamo per sempre °__°
http://www.italia-film.org/1234567-trono-di-spade-tvseries/

 

WAREHOUSE 13

Anche qui il fantasy, il soprannaturale e ogni sorta di leggenda si mescolano in un telefilm bellissimo. E è cominciata la quinta stagione °__°
http://www.italia-film.org/5719-warehouse-13/#gsc.tab=0

 

4 Maggio 2014 – L’alba dei 35

Mag
4

35 anni.. mi avessero detto 15 anni fa che li avrei compiuti sarei scoppiata a ridere, tanto lontani.. tanto vecchi eppure oggi non mi sento vecchia. Si ok non riesco più a fare due giorni senza dormire che collasso.
Amo un po’ troppo il letto e il piumone con un buon libro e i mici in coccola.
Si ok non esco più come un tempo a  strafarmi di birra.
Vado ancora a pescare senza perdere un colpo però. Si ok non sono vecchia ma sono comunque invecchiata. Me lo ricordano i capelli, che da un singolo ciuffo bianco ereditato da mia madre, ora ne ho qualcuno sparso.. nulla che le meches non possano nascondere alla vista. Forse un accenno di lievissime rughe ai lati degli occhi.. Ok si comincia con le creme effetto lifting e fingiamo non ci siano. La vista grazie al cielo non mi abbandona.. almeno quella.

Insomma Eccoli i 35.. cinque anni fa mi immaginavo sposata e con un pargolo e invece dove sono? Single senza figli e nemmeno ne voglio anche se la cosa va in lievissimo conflitto coi miei ormoni che ormai stanno urlando.. anche li facciamo finta di non sentirli eh, che fosse per loro dovrei procreare ma non ci penso minimamente. Vuoi per l’instabilità lavorativa, vuoi che da sola un figlio? peccarità.. E poi mi piace la vita da single.

Mi guardo indietro e vedo macerie.
Sarà colpa dei terremoti, inondazioni o uragani, ma il passato non mi attira per nulla e stranamente nemmeno il futuro. Eccomi qui alba dei 35 in una sorta di limbo dove non mi va ne d’andare avanti ne tornare sui miei passi. Diamo la colpa alla primavera, al maltempo e alla tromba d’aria che mi ha sconvolto l’esistenza tre giorni fa.. bel regalo di compleanno eh.

Sarà che i miei compleanni non sono mai stati il massimo della festa.
Sarà che sono coincisi più o meno con terremoto aquila, tornado o grandinate eccezionali.. della seria l’allegria si spreca. Quindi già l’idea di invecchiare non è che sorrida molto; sentire il proprio orologio biologico che ticchetta nervoso ancora meno… Se ci aggiungiamo catastrofi naturali su catastrofi naturali che rendono il mondo attorno a te lievemente triste e lugubre. Il gioco è fatto.
ODIO I MIEI COMPLEANNI.
Ma proprio li detesto, meglio metterlo bello in grassetto sia mai che non si noti. Da che ho memoria non me ne ricordo uno decente, divertente… o forse si dalla zia anni fa coi miei cugini… giusto qualcosa di diverso. Ma per il resto son sempre stati dei Flop pazzeschi, o in periodi dove a nessuno andava di festeggiare, non che gli dia torto, ma che sfiga puntuale come le tasse.

Vediamo se quest’anno ne esco indenne.
Non si esce.
Non si fa nulla.
Casa, letto, coperte.
Telefono staccato.

Se riesco a passare un compleanno senza catastrofi o problemi posso ritenermi soddisfatta. Vediamo se riesco ad arrivare a sera, per accocolarmi a dormire senza vedere, subire o fare troppi danni. Il Conto alla rovescia delle 24 ore inizia… ADESSO!

Ah via…
Tanti auguri a me.

Remember Tatanka

Mag
3

 

1621729_10203235154264677_1161561168_nTatanka 2000/2014
2014 anno nuovo e in un mese ha portato solo dolore.
Un’alluvione in zone, quelle della bassa modenese, già sofferenti per il terremoto.
L’anno in cui devo dire addio a Tatanka. 14 anni insieme, ti scelsi tra dieci in una cucciolata di batuffoli neri pieni di vitalità; una vitalità che ti ha accompagnata per quasi tutta la vita. Da due anni ormai si vedeva che eri stanca, sempre più sonnolenta, poi la vista e l’udito ti hanno abbandonata, ma tu eri li ancora in piedi, ancora giocosa, vivevi con il tuo fiuto.
Arriviamo al 2014 l’anno della fine.
Quattordici anni, nessuno avrebbe mai scommesso che un cane tanto grande arrivasse a questa età, ma tu ci sei riuscita, ti sei fatta amare da tutta la famiglia, vivevi per la tua famiglia e le lacrime non bastano, ma sono comunque dovute.

 

L’ultimo atto d’affetto per te è stato non farti soffrire.
Da tre giorni eri paralizzata, le zampe dietro avevano ceduto, immobile sulla tua coperta ad annusare il mondo e oggi, il tuo muso aveva solo un’espressione “Perchè”. La gioia dell’annusata, delle carezze, era svanita dal muso, solo quell’angosciante espressione di chi non capisce il perchè della sofferenza. La vecchiaia non è una malattia curabile e alla fine la decisione è stata presa. Quante ora ti rimanevano? Non lo sappiamo, poche… eri al limite delle tue forze, ma ora non soffri più, puoi nuovamente correre. La decisione più umana che potevamo prendere.

 

Addio Tatanka.

 

Grigio vs Nero – Kalì

Mag
3

E dovevo pur arrivare a parlare di loro, i due mici del mio cuore.
Alucard il Grigio
Kalì la Nera

Kalì2

Kalì
Gattina nera.

Era il 2008, una primavera fresca all’aquila e proprio quando l’estate si avvicinava ecco che Kalì entra nelle nostre vite. Era una micina nera, la più piccola della cucciolata, tanto che a vederla mi veniva in mente solo l’appellativo “gatto ratto”. Avevamo già un bel gattone Alucard, un animale allora asociale, che si faceva sempre i fatti propri, non faceva mai le fusa, in perenne osservazione, cosa pensasse? L’ho dedotto solo anni dopo, ma ci arriverò.

Kalì entra nella nostra vita, nostra perchè fu la gatta del mio convivente, lui la volle e scelse, e la piccola fu la sua bambola. Ancora mi sento in colpa, dovevo impedirgli di trattare un gatto come fosse una bambolina di pezza, ma per quieto vivere e siccome era la sua gatta, alla fine non intervenni mai e kalì crebbe, amatissima si ma anche insicura. Ogni sua paura, insicurezza, terrore fu accentuato all’inverosimile, ogni miao, tremore era rassicurato con coccole, cosa che li rafforzava. A nessuno era permesso prenderla in braccio, per accarezzarla si doveva praticamente chiedere permesso e la piccola viveva perennemente in braccio al suo padrone.

Più che un gatto era un pupazzo, piccolo dolce e fifone.
Io? Io ero un’estranea, non mi calcolava, non mi considerava ero una sconosciuta di cui aver paura e non farsi mai toccare. Anche Alucard era poco considerato era solo un altro elemento in casa ma l’unico affetto e mondo di quella micia era il mio ex.

Venne haimè il 2009 e con lui il terremoto.
La cosa fu traumatica per tutti, ma almeno noi persone razionalizziamo, gli animali no.
Venne il tempo del campo, venne il tempo di tante sofferenze e i mici? Tra chi diceva di mollarli, abbandonarli o peggio annegarli. Io mi impuntai erano nostri e ne avevamo cura… Grande errore? Per me no ma il mio ex aveva ben altre idee. E li iniziò il martirio della povera kalì. Il suo più grande trauma.

Per un mese visse in una tenda con me e Alucard, il mio ex? Non la considerava, non la coccolava, era straziante sentirla piangere continuamente il suo richiamo verso chi era il suo mondo e ora non le donava nemmeno una carezza. Il peggio venne quando lui decise di lasciarmi e la Micia divenne un problema. I suoi gliela avrebbero lasciata? Altrimenti che fine avrebbe fatto? Manfrine su manfrine che mi scodellò al punto che per non rischiare che la piccina rimanesse per strada, con un destino di morte assicurato, la portai via con me e Alucard.

Quando partimmo non solo io ero distrutta dalla separazione, io almeno potevo ragionare, Kalì era in balia degli eventi che non comprendeva, si sentiva abbandonata e piangere e miagolare era una costante, manifestava continuamente la sua disperazione cercando chi ormai l’aveva lasciata. Arrivammo a Modena, Alucard cambiò completamente modi, da serio e isolato gattone, liberatosi del mio Ex, che ora mi rendo conto lui ha sempre odiato, è diventato improvvisamente allegro, festoso e fusoso. Si vede che non ha mai tollerato il mio ex e ero io la sua padrona che lui voleva, bhè almeno qualcuno era felice, il problema rimaneva kalì.

Il campanello, un rumore, un estraneo, qualsiasi cosa la terrorizzava e si nascondeva ovunque potesse infilarsi anche per ore se non per giorni. Non si faceva toccare da me osservandomi con disperata diffidenza e io mi ritrovai in casa una gattina che mi odiava e allo stesso tempo era nella totale disperazione. Se provavo a forzarla toccandola la paura cresceva, insomma un vicolo cieco. Per fortuna si era avvicinata ad Alucard e decisi di lasciarli fare, darle tempo ignorandola e aspettando che lei si ambientasse.
Giorno dopo giorno la piccolina ha iniziato ad ambientarsi, piccoli passi che ha compiuto in 4 anni, dalle prime coccole che venne a reclamare saltandomi in braccio la prima volta. Al primo estraneo che ha accolto con curiosità e non paura. Alle prime fusa, primi miao rivolti a me, primi giochi con Alucard. Quattro anni dove la piccola ha combattuto ogni giorno affezionandosi e avvicinandosi sempre di più fin quando ha deciso, almeno spero, che come umana per lei non fossi poi così male.

E perchè scrivo tutto ciò?
Perchè dopo 4 anni finalmente siamo all’epilogo credo.
Ho un gattone adorabile e una micetta bellissima e dolcissima.
Una micetta che ha finalmente deciso che val la pena condividere il letto con me e Alucard.
Infilarsi con noi sotto le coperte, dormire contro il mio fianco e darmi il buongiorno strofinando il nasino sulla mia faccia. Alucard fa queste cose da sempre con me, ma finalmente con l’autunno 2013 Kalì ha ceduto e iniziato anche lei a mostrare senza riserve tutto il suo dolcissimo affetto.

Ci son voluti 4 anni.
Ma ad averla in braccio ora, che fa le fusa e mi fissa coi suoi occhioni gialli… mi dico solo che si ha sofferto ma ne è valsa la pena per essere ora felice. 1912197_804472649566586_1600681309_n

 

 

Il Sacro Tortellino

Mag
3

Noi Emiliani andiamo fieri di alcuni prodotti o ricette.. ma alcune sono talmente tanto radicate da richiedere vere e proprie confraternite! Senza contare che il tortellino ha una vera e propria pergamena ufficiale depositata per la ricetta.

Veniamo alla ricetta UFFICIALE depositata a cui poi si disperdono decine di varianti.

Tortellini alla Bolognese!
– Pasta all’Uovo gialla preparata con 3 Uova e 3 etti di farina
PER IL RIPIENO:
– 300gr. di Lombo di Maiale rosolato al Burro
– 300 gr. di prosciutto crudo
– 300 gr di vera Mortadella di Bologna
– 450 gr. di formaggio Parmiggiano Reggiano
– 3 uova
– Odore di Noce moscata

Tortellini alla Modenese!
– Pasta all’Uovo gialla preparata con 3 Uova e 3 etti di farina
PER IL RIPIENO:
– polpa di maiale:150 gr.
– polpa di vitello:150gr.
– salsiccia:  100 gr.
– prosciutto crudo:100 gr.
– uovo: 1
– parmigiano grattato:150 gr.
– pane grattugiato:1/2 cucchiaio
– burro: 30 gr.
– sale: q.b.
– noce moscata: q.b.

 

Se non foste felici sappiate che il Tortellino ha dato vita a una marea di altre paste ripiene che lo imitano ma mai eguagliano!

 


Agnolotti.Di forma prevalentemente quadrata, vengono preparati soprattutto in Piemonte (dove, a seconda delle zone, possono essere chiamati anche “agnellotti”). Il ripieno è per lo più di carni miste, variamente cucinate (brasato di manzo, petto di pollo arrosto, coniglio arrosto, salsiccia e altro) alle quali si aggiunge di solito una verdura (in genere spinaci, scarola o bietole), parmigiano, noce moscata, sale e pepe. Per la preparazione, stendete l’impasto in due sfoglie, su una di esse distribuite il ripieno a mucchietti ben distanziati (servendovi di 2 cucchiai o di una tasca da pasticciere), poi appoggiate sopra l’altra sfoglia, sigillando bene la pasta attorno al ripieno; tagliate gli agnolotti con una rotella e disponeteli su un piano infarinato.

 


Anolini:
A forma di piccola mezzaluna, sono tipici della zona di Parma e Piacenza e vengono preparati con stracotto di manzo (o di asina) o con arrosto di maiale, pangrattato, parmigiano, uova, noce moscata, sale e pepe e si servono, secondo tradizione, in brodo rigorosamente di manzo e cappone, o anche (soprattutto a Piacenza) asciutti con condimenti di diverso tipo. Per la preparazione, stendete la pasta sulla spianatoia e con un tagliapasta rotondo ritagliatela in tanti dischetti uguali dei diametro di 3-4 cm. Distribuite al centro di ciascun dischetto un poco di ripieno (servendovi di due cucchiai o di una tasca da pasticciere), quindi ripiegate ogni dischetto a metà, sigillando bene i bordi in modo da ottenere tante

 

cappelletti e cappellacci: Come indica il nome, si tratta di una pasta ripiena dalla forma particolare che richiama quella di un copricapo maschile dell’epoca medievale. Tipici dell’Emilia-Romagna e di origini antiche, i cappelletti si preparano con l’impasto di base previsto per la classica pasta all’uovo e si servono tradizionalmente in brodo di cappone o di gallina. Per prepararli, stendete la pasta sulla spianatoia e ritagliatela in tanti quadrati di circa 4 cm di lato. Su ciascuno di essi distribuite il ripieno (servendovi di due cucchiai o di una tasca da pasticciere), poi ripiegate ogni quadrato a metà in modo da ottenere tanti triangoli da premere lungo i bordi. A questo punto unite bene le due estremità, sovrapponendole leggermente e premetele per saldarle fra loro, sistemando man mano i cappelletti su un piano leggermente infarinato in modo da farli asciugare leggermente prima della cottura i cappellacci (i più noti sono quelli ferraresi ripieni di zucca) si preparano esattamente come dei grandi cappellett’i, ritagliando la sfoglia in quadrati di 7-8 cm di lato.

 


Caramelle:
Formato di pasta ripiena tipico dell’Emilia, ha in genere un ripieno realizzato con ricotta, uova, spinaci e parmigiano grattugiato Per prepararle, stendete la pasta e dividetela in strisce di 5 cm di larghezza, da ritagliare poi in rettangoli larghi 4 cm. Distribuite al centro dei rettangoli il ripieno (servendovi di due cucchiai o di una tasca da pasticciere), quindi chiudeteli dando loro la forma di caramelle spennellando i bordi con uovo sbattuto per farli aderire bene.

 


Casonseì:
Con questo termine si indicano due tipi di pasta ripiena, dalla forma particolare: una tipica della zona di Brescia, preparat con salsiccia, pane, uova e formaggio, e una propria della vai Camonica, farcita con patate, salsiccia, mortadella, bietole, uova , parmigiano, pangrattato. Con il termine di “casunziei”, inoltre, si confeziona nella zona di Cortina d’Ampezzo una pasta ripiena a base di barbabietole, ricotta, pangrattato e semi di papavero. Per prepararli, stendete la pasta e ritagliatela in tanti dischetti di 5 cm di diametro; distribuite al centro il ripieno (servendovi di due cucchiai o di una tasca da pasticciere), e ripiegatevi sopra i bordi pizzicandoli. Tirate quindi leggermente le estremità verso il basso, poi unitele sovrapponendole; ripiegate infine sopra le estremità alternandole in modo da formare altre due piegoline

 


Fagottini:
Per prepararli, stendete l’impasto e ritagliatevi tanti quadrati di 6-7 cm di lato (o tanti dischi di 8 cm di diametro). Mettete al centro di ogni quadrato, o di disco di pasta, un poco di ripieno (servendovi di due cucchiai o di una tasca da pasticciere) e richiudeteli a fagottino, raccogliendo le punte dei quadrati, o i bordi dei dischi di pasta al centro e pizzicandoli con le dita in modo da sigillarli.

 

 

Mezzelune:Per prepararle, stendete la pasta sulla spianatoia in una sfoglia sottile e, con l’ausilio di un tagliapasta rotondo (a bordi lisci o scanalati) dei diametro di 7-8 cm, ritagliatevi tanti dischi di pasta. Al centro di ciascun disco mettete un poco di ripieno,@ (servendovi di due cucchiai o di una tasca da pasticciere), quindi ripiegatevi sopra i bordi ottenendo le mezzelune, premendo con le dita attorno al ripieno per sigillarle.

 

 


Ravioli :
Con questo termine si indica una pasta ripiena in generale, che può essere preparata con diverse fogge: quadrata o rettangolare come i tortelli e gli agnolotti, raccolta come i cappellacci, o anche  a mezzaluna e a triangolo, a piacere. In alcune regioni i ravioli sono ripieni di ricotta, con o senza verdura (a eccezione dei Trentino-Alto Adige, dove  il ripieno è a base di carne), mentre in Liguria (dove “raviolo’ è il nome della pasta ripiena per eccellenza) sono ripieni sia di carne, sia di magro.

 

 


Tortelli e tortelloni:  Come per i ravioli, anche il termine “tortelIo” indica genericamente alcuni tipi di pasta ripiena, di norma di forma quadrata o rettangolare. Generalmente di magro, con farcia di ricotta e spinaci o bietole, presentano comunque infinite varietà di ripieno. Si preparano come gli agnolotti, stendendo l’impasto in due sfoglie, distribuendo su una di esse il ripieno a mucchietti ben distanziati (servendovi di due cucchiai o di una tasca da pasticciere) e appoggiandovi sopra l’altra sfoglia, sigillando bene la pasta attorno al ripieno; infine, si tagliano in quadrati o in rettangoli con una rotella, liscia o scanalata. I tortelioni si preparano con mucchietti di ripieno più grandi e ritagliando poi i tortelli in quadrati di dimensione maggiore.

 

 


Triangoli di pasta:
Per preparare i triangoli di pasta, stendete l’imPastO e ritagliatevi tanti quadrati di 6-7 ern di lato. Al centro di ogni quadrato mettete un po’ di ripieno, quindi ripiegatevi sopra i bordi ottenendo i triangoli, premendo con le dita attorno al ripieno per sigillarli.

 

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IL TORTELLINO: UN’INVENZIONE LEGGENDARIA

Storia e leggenda si conoscono da sempre, e si sono sempre frequentate. La Storia considera la leggenda come una vecchia nonna tanto dolce, ma un po’ via  di testa: i suoi racconti sono affascinanti, ma sono un fritto misto di ricordi individuali e collettivi, di vecchie letture, sogni e fantasie. Per la Leggenda, la Storia è troppo pragmatica: un po’ arida, così attaccata alle carte (i documenti) e ai numeri (le date):  una specie di  contabile.  La Leggenda canta, la Storia conta, ma entrambe raccontano. Ciascuna col proprio stile, ovviamente. Ed è proprio quello che succede a proposito dei tortellini. Per il rispetto dovuto all’età, sentiamo per prima la Leggenda.    Secondo A. Panzini, il Know-how del tortellino va ricercato – e ritrovato – sul fondo di un secchio. Per amor di verità, di una secchia, la più famosa della letteratura; La “Secchia rapita” cantata dal poeta modenese Alessandro Tassoni  nel 1624. La storia (qui intesa come trama dell’opera) narra, in termini burleschi e canzonatori, dell’eterna rivalità fra Modena e Bologna: due città troppo vicine, e troppo sanguigne, per non accapigliarsi ad ogni occasione. E con ogni pretesto, come la proprietà di una comunissima secchia tarlata, di quelle che si usano per tirar su l’acqua da un pozzo.  Per via della secchia trafugata dai modenesi scoppia una guerra eroicomica che dura ben dodici canti; vi prendono parte l’Olimpo al completo, re Enzo, e personaggi quali la guerriera Renoppia e il conte di Culagna.  Alla Secchia Rapita si sarebbe ispirato il poeta ottocentesco Giuseppe Ceri, che in un poemetto racconta della spedizione terrena di tre divinità dell’Olimpo: Bacco, Marte e Venere. I tre, venuti a dar man forte ai modenesi (ciascuno secondo le proprie competenze) in una delle tante guerre contro i bolognesi, si fermarono a dormire in una locanda di Castelfranco Emilia, al confine tra le province delle due città belle e belligeranti.    Il locandiere (poteva andare diversamente?) venne conquistato dalle meravigliose  fattezze di Venere,  e decise di riprodurne  l’ombelico – che era  riuscito a sbirciare – con la pasta sfoglia che stava preparando giù in cucina.  A questo punto la leggenda tace, soddisfatta. E salta su la petulante Storia: è tutto sbagliato. Tanto per cominciare, Tassoni  era modenese, e non avrebbe mai fissato a Castelfranco – avamposto dei Bolognesi – il luogo di nascita  del così aspramente conteso tortellino. A conferma di ciò,  nella “Secchia rapita”  – prosegue implacabile la Storia – dell’ombelico  di Venere   non c’è traccia né impronta: l’invenzione è dunque tutta farina (sic) del sacco di Ceri, che nei suoi versi dice testualmente:

“….e l’oste, che era guercio e bolognese,

imitando di Venere il bellico

e con capponi e starne e quel buon vino

l’arte di fare il tortellino apprese.”

La Storia non può comunque cantar vittoria. Far le pulci alla leggenda è una cosa: ma tirar fuori le carte che testimonino la nascita del tortellino, è tutta un’altra storia. Non meno nebulosa, in verità. Il Cervellati, storico degno di fede, segnala che nel secolo XII a Bologna si mangiavano i “tortellorum ad Natale”. Una festività, quella natalizia, molto vicina al  solstizio d’inverno (il 21 di dicembre). Da quelle parti, in quei giorni fa un freddo da accapponare la pelle. E quale alimento è più corroborante e calorico del brodo di cappone, tuttora il più fedele compagno del tortellino?

D’accordo; questa non è una prova, è una supposizione.  Ma tocca accontentarsi: prima del XII secolo non è stato trovato alcun riferimento al tortellino. Solo in seguito comincia a comparire qualcosa; in un libro di ricette trecentesche alcune fonti fanno riferimento a una ricetta dei “torteleti de enula”, un’erba presente in Emilia.  La ricetta è redatta in dialetto modenese, che conclude così: “…e poi faj i tortelli pizenini in fogli di pasta zalla”.  Il riferimento alla pasta sfoglia, gialla per la presenza delle uova, appare di evidenza solare: e “pizenini”, piccini sono questi “tortelli”, proprio come attualmente sono i tortellini. Siamo comunque ancora nel campo delle possibilità. E ci resteremo per tutto il 400. In compagnia di  Giovanni Boccaccio.

Nel terzo racconto dell’ottava giornata del Decamerone, Calandrino, Bruno e  Buffalmacco,  alla ricerca dell’elitropia, la pietra che fa diventare invisibili, finiscono nel Paese di Bengodi, dove “….stavan genti che niuna casa facevan che far maccheroni raviuoli e cuocergli in brodo di capponi.” Ma quali maccheroni raviuoli!, dicono gli emiliani. Dovevano essere certamente dei tortellini: chi sprecherebbe così del delizioso (e sostanzioso) brodo di cappone? Per uscire dal territorio del forse, ed entrare in  quello del probabile, dobbiamo arrivare al 1500, cifra tonda.  Nel diario del Senato di Bologna quell’anno si riporta che  a  16 Tribuni della Plebe riuniti a pranzo fu  servita (tra l’altro) una “minestra de torteleti.”: una ricetta che è probabilmente quella degli odierni tortellini. Pochi anni dopo, nel 1570, un Cuoco bolognese (forse Bartolomeo Scappi, cuoco di Pio V) fece stampare un migliaio di ricette tra cui c’era pure quella dei tortellini. Da questo momento si viaggia più spediti. Nel 1664 Vincenzo Tanara, nel citatissimo (a ragione) “L’economia del cittadino in Villa”, descrive i “tortellini cotti nel burro.”

Nel 1842 il francese Valery, viaggiatore e bibliografo, segnala un “ripieno di sego di bue macinato, tuorli d’uovo e parmigiano”, che altri non è se non il trisavolo  del tortellino attuale.  Il tortellino era insomma nato, e stava benissimo. Ma non viveva mai abbastanza a lungo da farsi conoscere: per le caratteristiche della pasta  e del ripieno, in capo a pochi giorni, se non veniva mangiato, era infatti da buttare. Per la consacrazione dei tortellini bisognava trovare il sistema per  conservarli. Vi riuscirono i fratelli Bartagni, che nel 1906 riuscirono a portarli  fino in California,  alla Fiera di Los Angeles, dove furono molto apprezzati. Segno che si erano mantenuti bene. Da allora il tortellino si è affermato, e non si è fermato più.

 

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L’ARTE NOBILE DEL TORTELLINO

Si fa presto a dire tortellini. E pure a mangiarli. Purchè ci sia qualcuno che li prepari. E lo sappia fare come si deve.  Perché va detto, senza  far torto a  nessuno ( nemmeno un tortellino piccolo così ) che  non tutti sono all’altezza. Chi prepara i tortellini? E con quali ingredienti? La risposta alla prima domanda viene dal passato. Un tempo chi faceva i tortellini li faceva a domicilio dei clienti. Almeno nelle grandi occasioni, come i matrimoni, in cui la cosa più importante, per chi invita e per chi viene invitato, è come si mangia. In Emilia, la patria del tortellino (sulla Regione non ci sono dubbi: sulla città è ancora in corso una plurisecolare vertenza tre Bologna e Modena),  la fattrice, la generatrice di tortellini era lei: la “rezdora”. Parola in dialetto emiliano che vuol dire “reggitrice”. Nelle campagne, la rezdora era la donna che mandava avanti la casa, cucina compresa. Quando alle capacità organizzative univa l’abilità culinaria, la rezdora veniva “prenotata” per banchetti  e matrimoni. A cose fatte, stanca ma felice per il successo riportato, veniva ricondotta a casa sua, e portava ai familiari, oltre al compenso ricevuto, pure  una bella quantità di “avanzi” di prima scelta. Tutto strameritato, e spesso frutto del lavoro di più giorni, non solo quello della festa. La rezdora veniva infatti prelevata con anticipo, perché potesse rendersi conto sul posto di ciò che le serviva. Per fare cosa? Tutto; ma sopratutto i tortellini.   Del tortellino la rezdora sa ogni cosa. Per esempio, sa che va lasciato cuocere nel suo brodo. Un atteggiamento tutt’altro che fatalista, visto che “suo” non si riferisce al tortellino ma alla rezdora. Al brodo che ha preparato lei. Per il tortellino, il brodo di cappone è la morte sua (e quella del cappone, evidentemente). Il cappone è un gallettino nato tra aprile e maggio, e castrato ad agosto,  quando pesa circa un chilo e mezzo. A Natale ha raggiunto il peso giusto, tra i quattro e i sei chili.  Se il cappone non c’è, la gallina (possibilmente vecchia), il pollo o il galletto possono prendere il suo posto in modo onorevole.

Come si fa un buon brodo si sa. Oltre alla carne (la parte grassa e la parte magra devono essere entrambe rappresentate) occorrono le erbe aromatiche: costa di sedano, cipolla, carote e prezzemolo. Chi ne ha voglia ci può aggiungere un pomodoro o una patata. L’acqua è fondamentale (un litro per ogni 100 grammi di carne) e  va aggiunta di tanto in tanto per compensare l’evaporazione (e non per allungare il brodo). Elemento imprescindibile per la buona riuscita del brodo è il tempo. Perché sia degno di tal nome, e dei tortellini che vi andranno a morire, il brodo deve stare sul fuoco quattro ore, o giù di lì. La rezdora non ha bisogno di star lì altrettanto: deve però tenerlo d’occhio. L’occhio del padrone ingrassa il cavallo, quello della padrona (la reggitrice)  sgrassa il brodo: di tanto intanto deve infatti eliminare gli “occhi” di grasso, insieme alla schiuma che si va formando  in superficie. Per potersi dichiarare sgrassato, il brodo non passa soltanto per la privazione degli occhi: dovrà anche  passare per un colino fitto, o per un panno  umido ben strizzato. Perché un’ebollizione così lenta, e quindi lunga? Per consentire alla carne di cedere le proprie sostanze al brodo un po’ per volta. Mentre il brodo s’insaporisce la rezdora non se ne sta con le mani in mano: è una che tiene le mani in pasta (è per questo che la chiamano). La pasta del tortellino.

Diciamolo subito: il tortellino non è altro che una pasta ripiena. Di cosa, lo vedremo poi. Siccome non esiste contenuto senza contenitore,  occupiamoci prima di lui, o meglio di lei: la pasta. Andando a ritroso, pasta vuol dire grano.  E grano duro, che  tiene l’ebollizione, e non si sfalda. Al mulino il grano viene ridotto in farina. Di farina ce n’è molte qualità, e la pasta sfoglia è figlia di almeno tre-quattro di esse, selezionate e miscelate fra loro, per assicurare il giusto mix di cottura e sapore. Dopo la farina,  uova, sale, ed olio. D’oliva, e di gomito: è  il momento di impastare insieme tutti questi elementi.  Dal vigoroso e sapiente  impasto verrà  fuori la pasta del tortellino. La pasta dev’essere morbida. Quanto? Q.b. Quanto basta. Queste due consonanti, odiate da chi non sa cucinare, e inutili per chi lo sa fare, vogliono dire non troppo morbida (altrimenti si attacca alle dita), ma  nemmeno troppo poco, se no si spezza sotto le mani. All’eccessiva mollezza si ovvia aggiungendo della farina, alla secchezza si pone rimedio con un po’ d’acqua (in che dosi? q.b.)

A pasta ben amalgamata e gommosa,  fa la sua comparsa nelle mani della fattrice il matterello. E’ il momento della verità. Non è più possibile tirarla per le lunghe, bisogna tirare la sfoglia. Un ‘impresa delicatissima e non priva di rischi. Una volta tirata a regola d’arte, la “pastella” è di un bel giallo sole: e come il sole è grande  e rotonda. Se ne sta lì splendente, distesa sulla tavola. Ancora non sa che sta per essere straziata e sminuzzata, allo scopo di rendere possibile il raggiungimento dello Scopo Ultimo: il tortellino. Il coltello è già entrato in azione. Prima alcuni  tagli paralleli riducono la pasta in strisce, poi dei tagli perpendicolari a questi danno vita a tanti quadratini di circa 2 cm. di lato. Da quest’operazione di  chirurgia alimentare sono infine nati i tortellini. O quantomeno il loro involucro.  Stretta (sottile) è la sfoglia, larga è la via che conduce al tortellino: quasi un’autostrada. La favola  del tortellino è piena di passaggi obbligati, si potrebbe dire che ne  è ripiena. Il ripieno è costituito da carne tritata, cruda e/o cotta: brasato di manzo, salsiccia, prosciutto, arrosto di maiale o di vitello, pollo cappone, mortadella, pancetta. Ma c’è spazio per tutto: bietole, cannella, patate e finanche pesce. Il ripieno è a sua volta pieno di formaggio. Per fare un buon tortellino, (oltre al grano, di cui s’è detto) ci vogliono infatti  sia la grana che il grana. Meglio se parmigiano.

La grana una volta occorreva per  la rezdora, ed ora serve per acquistarlo dove si riesce a trovarlo buono. Per un buon  tortellino il parmigiano è essenziale. E’ lui il formaggio più adatto ad entrarvi. Guarda caso, si fa in Emilia-Romagna. E non deve assolutamente essere fresco, bensì stagionato: dai 12-18 mesi fini ai 4 anni. Basta così: ormai tutto è pronto per il matrimonio fra la pasta e il ripieno. Sono fatti l’uno per l’altra, perciò sembra tutto facile. Ma provateci un po’ voi. Per scoprire quant’è complicato farli stare insieme occorre essercisi  passati. Amalgamare la pasta con il ripieno è infatti  un’arte consumata; quasi un’alchimia.  Per dar vita al Tortellino si deve prendere un pizzico (non di più, ma  neppure di meno) di ripieno, sistemarlo sul quadratino di pasta, e poi chiudere la sfoglia sul ripieno. Con una sapiente pressione nei punti giusti.

Infine, la cottura. I tortellini vanno cotti con delicatezza, facendoli cadere lentamente, perché non  si incollino. Il tempo di cottura è breve, ma il piacere che si prova nel gustare i tortellini è lungo. E si prolunga nel ricordo.

 

Fonte
http://www.tortellini.it/

Il Pentacolo – Sfatiamo qualche mito errato.

Mag
3

Arriva anche il momento dove uno si STUFA di venir guardato male perché porta un pentacolo al collo. Pentacolo che viene mal associato (Grazie chiesa cristiana) e quindi mal visto. Mettiamo un po’ di puntini sulle i, riguardo l’origine del simbolo e ciò che rappresenta. Il tutto legato alla Religione Pagana o antica Religione o come volete chiamarla, precedente di molto al Cristianesimo, che ultimamente sta tornando in voga (mhà) e che era tutto tranne che negativa.

Tutti i fenomeni come:
Wikka
Sciamani
Spiritisti
Celti
Hanno come ramo comune il Paganesimo, antiche religioni con feste e usanze comuni, nate dal ceppo paganesimo e poi cresciute. Tutte sorelle e tutte con fini pessime, come i roghi e l’inquisizione mediale. Non che la tolleranza oggi sia migliorata, che quando a cavallo di HALLOWEEN, il 31 ottobre è festa per i pagani, ti leggi sul giornale lo spergiuro del vescovo che abolisce queste religioni, di non festeggiare halloween perché fuorviamo i giovani…

Ma beata ignoranza, ci tenete proprio a rincitrullire le nuove generazioni.
E non è colpa della religione in per sé, che esista uno due cento dei non importa, che esista uno o mille credo, ognuno è libero. Mentre sono preoccupanti le ristrette vedute di chi dovrebbe guidare La dove si professa la solidarietà e aiuto, non ci pensano però due volte ad allestire un rogo, stavolta mediatico, su chi è diverso come credo.

E pensare che c’è tanto posto a questo mondo per tutti e per la tolleranza.
Povera tolleranza ormai in estinzione.

Torniamo al nostro caro Pentacolo.

 

“E’ un antico simbolo, sicuramente uno dei più antichi al mondo. Era già presente 4000 anni prima di Cristo. Simbolo religioso pagano che oggigiorno viene associato alle sette sataniche e quindi al diavolo. Il termine“pagano”, deriva dal latino paganus cioè “abitante della campagna”. Il suo significato non ha nulla a che fare con stregoni e demoni. I pagani erano gli abitanti delle campagne e quindi i contadini ignoranti i quali praticavano il culto delle religioni rurali ovvero il culto della grande Madre Gea quindi Madre Natura o Madre Terra. Mi sembra abbastanza scontato sottolineare che tutto ciò si opponeva nettamente alla dottrina cattolica.

Il famoso pentacolo con la stella a cinque punte ( o pentacolo di venere) è un simbolo precristiano legato al culto della natura. Anticamente vi era la convinzione che il mondo fosse diviso in due parti: quella maschile e quella femminile. Gli Dei e le Dee che popolavano questi due mondi avevano il compito di mantenere l’equilibrio tra yin e yang. Se tra il principio maschile e femminile vi era un equilibrio allora nel mondo regnava l’armonia, in caso contrario regnava il caos.

Detto questo è doveroso sottolineare che il pentacolo simboleggia Venere cioè la dea della bellezza femminile e dell’amore sessuale.

Probabilmente alcuni non sapranno che l’origine grafica del pentacolo è strettamente legata al pianeta Venere in quanto ogni otto anni sulla sua eclittica traccia un pentacolo perfetto. Innanzi a questo meraviglioso fenomeno le popolazioni antiche  rimasero stupefatte ed è proprio per questo che Venere e il suo pentacolo divennero i simboli della perfezione, della bellezza e degli aspetti ciclici dell’amore sessuale.

Come abbiamo già accennato prima , oggi vediamo che questo simbolo viene associato al demonio grazie alla Chiesa.

La Chiesa Cattolica romana dei primi secoli fece in modo che il significato di questo simbolo venisse alterato in quanto era suo intento far convertire le masse al Cristianesimo e quindi debellare  del tutto la religione pagana. Per raggiungere il suo scopo la Chiesa lanciò una campagna denigratoria  contro gli Dei e le Dee pagani e definì come diabolici i loro simboli.

Durante questa lotta tra religione Cristiana e religione Pagana purtroppo quest’ultima perse alcuni dei suoi simboli tra cui: < il tridente del contadino > che divenne il forcone del diavolo; <  il cappello dell’erborista > che divenne il cappello della strega  e infine < il pentacolo o stella a cinque punte> che divenne il simbolo del diavolo.”